Bravissima Elena Pirrone e bravissima anche Letizia Paternoster che si ai Mondiali di Bergen ci hanno fatto fare una bellissima figura (categoria juniores), ma bravo anche Vincenzo Albanese, quinto fra gli èlite. Scrivo in questa sera di venerdì, quindi aspetto con ansia le altre gare, in particolare la sfida fra i professionisti, domenica.

Un percorso che si definisce adatto ai velocisti, tutt’al più buono per un colpo di mano… vengono in mente corridori potenti, “finisseur” del tipo di  Sagan che, in effetti, è fra i favoriti. E noi italiani? Sarà ancora stagione di magra oppure ci prenderemo qualche soddisfazione? Gianni Moscon ha fatto molto bene alla cronometro arrivando nei dintorni del podio. Per la prova in linea potrebbe dire la sua… ma tra gli italiani che potrebbero ben figurare ci sono anche Matteo Trentin, reduce dalle vittorie nella Vuelta, Sonny Colbrelli (vincitore della Bernocchi), Diego Ulissi ed Elia Viviani. Staremo a vedere.

Ma, tra le diverse notizie del ciclismo di questi giorni, mi ha colpito quella riguardante il Giro d’Italia del 2018: la partenza sarà data in Israele, proprio a Gerusalemme dove  si correrà la prima tappa, una cronometro di circa dieci chilometri. Si svolgeranno nel paese mediorientale tre tappe che toccheranno luoghi fondamentali per la nostra cultura, per la nostra visione del mondo, come Nazareth, il Lago di Tiberiade, Beer El Sheva.

Sono luoghi che non hanno uguali per noi occidentali, che sono incisi nella nostra memoria e nella nostra mentalità, i luoghi di Gesù. Non sarà un Giro come gli altri. Anche perché la terra di Israele porta con sé una vicenda del tutto particolare, quella di due popoli, quello Ebraico e quello Palestinese, una vicenda drammatica che si trascina da decenni e che ancora non ha trovato una soluzione dignitosa. Qual è il significato del Giro d’Italia in Israele? Quale il significato di tre tappe, di circa duecento corridori e di tutta la carovana, dei milioni di telespettatori che seguiranno la corsa tra mare e deserto?

Gli organizzatori hanno offerto una chiave di lettura precisa: la storia di Gino Bartali, dichiarato “Giusto tra le nazioni” da Israele per avere salvato la vita di tanti ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, in particolare nel periodo di dominazione nazifascista dopo l’8 settembre 1943. Bartali a quel tempo era il più famoso campione italiano di ciclismo, conosciuto e apprezzato in tutta Europa: aveva già vinto Tour de France e Giro d’Italia. In quel drammatico periodo le corse erano sospese, ma il “Ginettaccio” continuava ad allenarsi.

Il suo tragitto preferito era da Firenze ad Assisi. Perché Gino era anche un credente, un cattolico fervente che volentieri si recava nel paese di San Francesco. Partiva al mattino presto da casa, salutava la moglie Adriana, poi faceva una sosta in vescovado e incontrava un prelato per la benedizione. Insieme alla benedizione riceveva anche dei documenti che nascondeva nel tubo piantone della bicicletta, sotto il tubo reggisella. Erano documenti con i dati di diversi cittadini ebrei che il vescovo di Firenze e i suoi preti stavano cercando di salvare. Gino partiva: lo aspettavano centoquaranta chilometri di pedalata fino ad Assisi, via Arezzo e Terontola: almeno cinque ore.

Gino arrivava ad Assisi, raggiungeva il convento di San Damiano e incontrava Padre Rufino, l’uomo di fiducia del vescovo. Il corridore salutava, svitava il dado del tubo piantone, sfilava il reggisella ed estraeva gli elenchi, con tanto di fotografie. Padre Rufino passava tutto a una tipografia che clandestinamente preparava i documenti falsi. Gino andava a mangiare e a riposare un poco, tornava dopo un paio di ore: i documenti venivano di nuovo stivati sotto la sella, nel tubo. E Gino ripartiva con quel fascio di carte che significava la salvezza per tanti esseri umani. Bartali mise così a repentaglio più volte la sua vita: se lo avessero scoperto, sarebbe stato ucciso, o imprigionato in un lager.

E’ una storia bellissima, ne ho tratto un racconto che è inserito nel romanzo “La vita a pedali” (Bolis Edizioni). Una storia di buona volontà e di passione per l’uomo: un messaggio che potrebbe essere decisivo per risolvere il dramma della coesistenza di Israele e Palestina.

Paolo Aresi

Paolo Aresi

Paolo Aresi – giornalista e scrittore.
Dal 2015 cura la rubrica “#AMOLABICI, le Cicloctorie di Paolo Aresi” sul sito www.bicitv.it.
Il ciclismo è una sua grande passione, ha trascorso l’infanzia tifando Felice Gimondi.
Pedala con una certa energia, ma il poco tempo a disposizione lo penalizza.