Ci sono delle volte in cui ci sentiamo orgogliosi di essere italiani. Oggi pomeriggio, per esempio, quando abbiamo visto quella maglia rossa e blu prendere il largo sul Poggio, l’ultima salita della corsa, della mitica Milano-Sanremo, dopo 290 chilometri di gara. Abbiamo visto la maglia rossa e blu di Vincenzo Nibali sfrecciare, attaccare dove nessuno poteva aspettarselo, a metà della salita, una salita certo non adatta a lui, eppure Vincenzo ci ha creduto.

Aspettavamo a quel punto Sagan, aspettavamo Kwiatowski. Invece abbiamo visto partire un corridore non proprio famoso e Nibali dietro, a fare da stopper per dare una mano a Colbrelli. Era il tratto pianeggiante del Poggio quando Nibali si è trovato improvvisamene quindici secondi avanti al gruppo e in quel momento il Poggio si è impennato e allora Vincenzo ha pensato che forse quello era il suo momento e si è messo davanti, ha accelerato progressivamente, il suo compagno di viaggio ha mollato, Vincenzo si è trovato da solo, con la lingua fuori, i denti che la mordevano, senza mai girarsi. E poi si è tuffato giù, verso il mare, nel sole della riviera, come un gabbiano che plana verso le onde. Dodici secondi di vantaggio difesi con le unghie e con i denti, piegato sul manubrio, fino a quel viale Roma mitico, l’arrivo, con il gruppo dietro, che sembravano tanti cani mastini a caccia della volpe.

Ma la volpe ha vinto, il gabbiano ha aperto le ali, e alzato le braccia al cielo.

Un’onda di emozione lo ha seguito, lo ha accompagnato, ha accarezzato tutto il pubblico di Sanremo e quello lontano, davanti al televisore, in auto con la radio accesa, davanti al computer, in streaming.

Vincenzo Nibali ci ha fatto battere il cuore, ha reso onore al ciclismo e all’Italia. Ancora una volta. Ed è stato bello vedere, oltre il traguardo, sua moglie e sua figlia Emma che lo aspettavano. È stato un ribadire le cose che più contano nella vita.

E poi c’è stata la premiazione: è successo qualche cosa che è sempre più raro vedere. Quando è partito l’inno nazionale, tutto il pubblico gli è andato dietro e, accanto al suono degli strumenti, dalla televisione è venuta fuori la voce della gente, la voce del popolo che cantava “Fratelli d’Italia” e l’emozione era negli occhi della gente, in qualche caso si faceva lacrime, in qualche altro sorriso, in altri ancora lo sguardo era fisso, a guardare Vincenzo sul podio e forse anche oltre il volto di Vincenzo.

Fissavano un sogno, la volontà di essere in alto, di volere essere un’Italia fondata davvero sul lavoro duro, sulla fatica, ma che grazie alla fatica e alle capacità può tornare a essere qualche cosa di buono, una luce per il mondo. Un’Italia che non sia più quella dei troppi furbastri e opportunisti, dei dopati e degli imbroglioni. Un’Italia che ci mette l’anima, che affronta la sofferenza e la sconfigge, un’Italia che davvero può vincere ed essere felice di se stessa. Come Vincenzo Nibali, grande siciliano. Grande italiano.

Paolo Aresi

Paolo Aresi

Paolo Aresi – giornalista e scrittore.
Dal 2015 cura la rubrica “#AMOLABICI, le Cicloctorie di Paolo Aresi” sul sito www.bicitv.it.
Il ciclismo è una sua grande passione, ha trascorso l’infanzia tifando Felice Gimondi.
Pedala con una certa energia, ma il poco tempo a disposizione lo penalizza.