MILANO (MI) – Oggi, mercoledì 1° novembre, mentre le attenzioni del mondo del ciclismo italiano erano rivolte soprattutto all’Idroscalo per il Gran Premio Guerciotti, un articolo del Corriere della Sera ha acceso le attenzioni sull’ingente debito di bilancio con cui deve fare i conti la Federazione Ciclistica Italiana. 

Nel pezzo a firma di Marco Bonarrigo e che vi proponiamo integralmente qui sotto, il giornalista ha raccolto le parole del presidente della FCI Renato Di Rocco.

«Non fermeremo l’attività olimpica, non taglieremo i fondi ai ragazzi della pista e ai loro sogni di medaglia a Tokyo. Troveremo i soldi altrove». Renato Di Rocco, presidente della Federciclismo, prova a parare il colpo. Il Coni gli ha appena intimato di «usare finalmente le maniere forti e adottare azioni concrete perché la situazione finanziaria del ciclismo è la più critica del sistema sportivo con quella dell’equitazione».

Una voragine si è aperta improvvisamente nel bilancio delle due ruote: un debito di 2 milioni e 700 mila euro di cui non c’era traccia nel bilancio di previsione dello scorso maggio, spuntati dal nulla ad agosto. In pratica, manca all’appello un quinto del budget. «La società di certificazione — spiega Di Rocco — ha spostato delle partite finanziarie pretendendone l’immediato risanamento. Per il codice civile potremmo agire diversamente ma il Coni non sente ragioni. Attueremo un piano industriale di risanamento, ma dovranno darci una mano: l’hanno fatto con altre federazioni».

Il Coni chiede di agire su due fronti: aumento delle quote associative e delle tasse gara (già alte per i costi assicurativi) e revisione al ribasso dei programmi agonistici, ovvero la preparazione olimpica di atleti finalmente competitivi a livello mondiale. Senza soldi la pista (che ha un programma di gare planetario) si ferma all’istante. I primi a pagare il dissesto, intanto, sono bambini e ragazzi: da oggi il prezzo del loro tesseramento raddoppia.

La Federciclismo sconta i costi di un organico-monstre (82 dipendenti a tempo indeterminato, di cui 25 nelle sedi regionali in parte inattive) ed entrate che arrivano solo da tesseramenti e Coni: nel 2017 la Fci prevedeva di incassare meno di 100 mila euro dagli sponsor, una somma irrisoria. Nel rosso del bilancio conta la sfortunata avventura dei Mondiali di Firenze 2013, con la Federciclismo che si assunse la titolarità dell’evento tramite una società, poi fallita? «Il liquidatore — dice Di Rocco — ha chiuso con i creditori al 60%. Non abbiamo più debiti».

E il silenzio federale alla richiesta di aiuto da parte degli organizzatori di Vicenza 2020, che si sono visti sospendere la candidatura dall’Uci per assenza di copertura finanziaria? Problemi di soldi? «Problemi politici — spiega Di Rocco — perché la candidatura veneta, al contrario di quella toscana, nasce da tre soggetti privati che agiscono per loro conto. L’onere di trovare i fondi per organizzare è loro, non certo nostro. Che anche il governo sia freddo nei loro confronti non mi sorprende: il Veneto fa scelte politiche autonomiste, cercare denaro a livello centrale è un controsenso».