È giovedì pomeriggio, la tappa l’ha vinta il bravo Trentin, quattro italiani nei primi cinque, non male. Ma se guardiamo la classifica generale nei primi dieci posti gli italiani sono soltanto due. E il nostro uomo di punta è in crisi. Nibali è soltanto quarto. Tante parole si sono spese: che cosa succede a Nibali? Perché non vince? Perché Valverde lo stacca?
 Nibali non è un robot rigidamente programmato. Non è Armstrong, per intenderci. Non fa delle alchimie mediche al confine del lecito la base della sua preparazione come invece purtroppo avviene in altri casi. E allora Nibali fa venire in mente i campioni veri. Fa venire in mente Fausto Coppi, il campionissimo. Chi conosce un po’ la storia del ciclismo sa che lo stesso Coppi compiva grandi imprese, ma soffriva anche di crisi profonde. E Gimondi idem. Erano campioni, non erano robot.
Nibali è un campione. Lo ha dimostrato al Giro, alla Vuelta e al Tour. Lo ha dimostrato lo scorso anno al Giro di Lombardia vinto in discesa. Dopo che al Campionato del mondo aveva profondamente deluso.
Nibali è un uomo. Io penso che tra le ragioni di questo suo stato di forma precario ci sia quello che è successo al ragazzo della sua squadra, morto nei primi giorni del Giro, in Sicilia. Vincenzo ha dichiarato che per lui quel ragazzo era come un fratello minore. Quella morte terribile ha gettato un’ombra su Vincenzo, ha oscurato anche la voglia di correre, di vincere.
Sono sicuro che Vincenzo si riprenderà. Forse non in queste ultime tappe, ma certamente si riprenderà. Bisogna stargli vicino, nei giusti modi.
32-ciclostorie-nibali non è un robot
Questo pomeriggio è arrivata la notizia della morte di monsignor Loris Capovilla. Era un cardinale, era stato il segretario di Papa Giovanni XXIII, il famoso e grande Papa Buono. Capovilla aveva cento anni ed era un monumento. Era un uomo di pace. Fino alla fine ha mantenuto la sua incredibile memoria, la sua profondità e indipendenza di pensiero. Capovilla amava il ciclismo perché era uno sport di fatica e per questo era uno sport della povera gente, perlomeno alle origini. La morte di un uomo così grande lascia un vuoto nel mondo, un vuoto che siamo chiamati a colmare cercando ciascuno di dare il meglio di noi stessi.
Come quando si va in bicicletta.
Un giorno andai a trovarlo a Sotto il Monte dove abitava, nella casa del “suo” Papa Giovanni, in bici da corsa, vestito da ciclista, con tanto di scarpini. Mi guardò divertito mentre “tacchettavo” sul pavimento di graniglia del suo studio disadorno. Mi disse che volevo fare il giovanotto. Poi mi fece accomodare e cominciò il suo racconto. Parlava di fede, di politica, di filosofia. Di Gorbaciov, Obama, di Fanfani o di Aldo Moro o della fede semplice di sua madre. Ma finiva sempre allo stesso modo: “Camminiamo Paolo. Continuiamo a camminare”.