MILANO (MI) – Ieri è stata una giornata importante per i tanti che usano la bicicletta sulle strade d’Italia: l’odio contro i ciclisti è andato a processo ed è stato riconosciuto come un reato grave. In questo videomessaggio Marco Cavorso, coordinatore eventi sicurezza dell’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani esprime tutta la sua soddisfazione all’uscita dal Tribunale di Pistoia dopo il primo storico rinvio a giudizio per istigazione a delinquere di una persona che aveva invitato a “investire un ciclista per educarne 100” sui social network con riferimento all’investimento di un ciclista colombiano in Toscana di 2 anni fa.

ACCPI, parte civile nel processo, ritiene che il riconoscimento di questa imputazione, aggravata dal fatto che il reato è stato commesso a mezzo informatico, sia un primo passo importante per educare al rispetto e alla convivenza civile tanto sulle strade reali quanto in quelle virtuali, sempre più trafficate e piene di rischi fatali per gli utenti più fragili.

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«Denunciai questa persona proprio per dire basta a questo modo incivile di approcciare il problema della sicurezza stradale – ricorda Cavorso. – Questo è un avvenimento unico in Italia e mi auguro che impedisca, in futuro, a chiunque, di diffondere il mito della sopraffazione e della violenza anche verbale nei confronti degli utenti deboli della strada quali sono i ciclisti. Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato in questa battaglia civile, in particolare Carlo Iannelli, che mi ha offerto la sua assistenza legale, e il sindacato dei ciclisti professionisti italiani ACCPI. Rispetto ed educazione, prima di tutto».




Cavorso, che perse il figlio Tommaso, esordiente di 13 anni dell’Aquila Ponte a Ema, nell’agosto del 2010 investito da un furgone mentre si allenava in bici nei pressi di Rufina, in provincia di Firenze, ha confermato non gli interessano eventuali risarcimenti, e se ci saranno andranno a progetti per la sicurezza dei ciclisti o all’ospedale Meyer di Firenze. «Come risarcimento danni solleciterò – dichiarò già in passato – il giudice a riconoscermi la somma simbolica di 20 centesimi. È quanto mi chiese Tommy, prima di partire per la sua ultima sgambata. Venti centesimi costava un ciucciotto di zucchero, lo avrebbe mangiato in bici per darsi un po’ di energia».