BUSTO ARSIZIO (VA) – Bisogna provarla, una cosa del genere. Bisogna provare a trovarsi da solo in cima a una montagna, con la fatica che ti violenta ogni muscolo e i polmoni a caccia di ossigeno. Con le gambe che fanno male, con il tuo corpo che prova a convincere la testa a fermarsi urlandole “Basta, per favore basta”. Bisogna provarla, la fatica vera: bisogna provarla e conoscerla per poterla poi rispettare, cercare, amare.

Uno come Luca Spada (foto Atila Madrona) la conosce bene, la fatica, e ha imparato a darle del tu. Uno che per passione e per modo di essere un giorno ha deciso di allacciarsi le scarpe e mettersi a correre in montagna: là dove sotto i piedi ci sono solo i sentieri e non esiste la pianura, là dove il freddo e la neve arrivano senza chiedere permesso, là dove la fatica più bestiale è compensata dalla bellezza di quello che c’è attorno ed è mitigata dal silenzio del vento. E allora la fatica diventa normalità, e poco cambia se si stia sudando sulla salita più dura del Tor Des Géants (una delle corse più massacranti al mondo, attorno al Monte Bianco: Spada l’ha fatta tre volte) o se si stia lavorando per portare avanti la quotidianità di un’azienda come la sua Eolo. La fatica diventa necessità.

“Non riesco – ci racconta – a immaginare una vita senza fatica, non concepisco uno sport che non contempli in qualche modo la fatica: ecco perché mi sono appassionato alla corsa e ho iniziato a correre in montagna. I primi trail, che poi sono diventati ultra-trail, che poi sono diventati l’indescrivibile bellezza del Tor. La mia vita è scandita dallo sport, ogni anno corro una trentina di trail e la mia agenda quotidiana è costruita attorno ai miei allenamenti”.

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La corsa, i trail. Poi, è arrivata la bicicletta…
Ed è iniziato tutto un po’ per caso. L’età, i primi acciacchi, i tanti chilometri di corsa: il mio preparatore a un certo punto mi ha suggerito di inserire un paio di allenamenti in bici nel mio programma settimanale, giusto per differenziare. All’inizio, a me pareva una perdita di tempo…

Perché?
Ero talmente drastico, nel mio concetto di fatica, dal rifiutare qualsiasi mezzo meccanico: per me lo sport era solo muscoli, gambe e cuore. La bici era un aiuto inaccettabile, quindi le mie prime pedalate le ho fatte su una mountain bike che era un “cancello” pesantissimo.

E poi?
E poi, ho iniziato a scoprire le bellezze del ciclismo. Il fascino regalato dalla possibilità di fare più chilometri e di scoprire percorsi che prima mi erano preclusi: giri ogni volta più lunghi, il Mottarone, il Lago Maggiore. Ho scoperto che è bello uscire in bici in compagnia, condividendo la fatica e le bellezze. Ho assaporato il piacere unico che si prova quando sei in scia e davanti c’è qualcuno che per un po’ prende il vento al posto tuo. Il mio “cancello” è presto diventato una bici più bella, più leggera. E adesso mi ritrovo a pensare di essere più ciclista che trail runner.

Ciclismo per Luca Spada significa andare in bici, e tanto. Ma ciclismo ora significa altro: significa EOLO-KOMETA, la squadra nata da qualche mese ma già piena di voglia di crescere.
Un’avventura nata da un’emozione, da una passione trasmessa, dalla forza di un progetto. Io il ciclismo lo guardavo poco o nulla, giusto qualche tappa del Giro d’Italia in tv: ecco perché quando ho iniziato a parlare di quest’idea in famiglia, mi hanno preso tutti per matto.

Ci racconta com’è nata questa storia?
Da qualche mese avevo iniziato a pedalare, e siccome per me non c’è sport senza un po’ di competizione, mi ero iscritto a una gara: la granfondo Tre Valli Varesine. Lì, un po’ per caso, ho conosciuto Ivan Basso: a quell’incontro ne sono seguiti altri, e con il passare del tempo l’idea è diventata sempre più concreta e più vera. La scintilla definitiva è scoppiata quando Ivan mi ha invitato a un ritiro della squadra a Oliva, in Spagna: per la prima volta sono entrato in contatto con quel mondo, e quel mondo mi è piaciuto. Tanto.

Qualche mese fa la famiglia lo prendeva per matto. E ora?
Ora, sono tutti in squadra: tutti coinvolti, tutti tifosissimi, tutti appassionati. Alla gara d’esordio a Valencia io ero in ammiraglia, a metà corsa il gruppo si è spezzato in due. Mio figlio Alessandro mi ha subito telefonato preoccupatissimo: “Ma ci siamo staccati? Cosa sta succedendo?”. Ecco, questo dà l’idea di quanto tutta la mia famiglia ormai sia idealmente in ammiraglia con noi, tutti i giorni.




Una squadra italiana, ma allo stesso tempo una squadra anche molto varesina. Quanto ama, Luca Spada, il suo territorio?
La varesinità è un concetto a cui credo, credo tantissimo: ci tengo come uomo e ci tengo come imprenditore. Eolo è nata qui, ed EOLO non sarebbe nata se il nostro territorio non avesse avuto quelle condizioni economiche, sociali, orografiche che hanno permesso la nostra esistenza. EOLO non esisterebbe se non ci fosse il Campo dei Fiori. EOLO non esisterebbe se io non fossi nato e passato la mia infanzia a Malgesso, un piccolo paese di mille anime dove l’unica connessione con il mondo normale era il solo pullman che ogni giorno andava e tornava da Varese. Per me prendere la bicicletta per andare in edicola a comprare le mie riviste di informatica che poi divoravo era una necessità, e fin da subito ho avvertito l’esigenza di “connessione”: per me, e per tutti quelli che abitavano in posti come il mio.

E in cosa si è tradotta, questa varesinità?
In un attaccamento speciale, una gratitudine che mi porta a ricordare sempre il nostro essere territoriali: EOLO cresceva, portava “Internet dove gli altri non arrivano”, e la mia scelta è sempre stata quella di prendere a lavorare con me ragazzi di questa terra. Credo che in EOLO lavorino più di sessanta ragazzi usciti dall’ITC Tosi, per esempio. E in questo senso va anche la nascita del mio team di trail running: per far correre la gente della nostra zona, e per farla correre sulle nostre montagne.

Cos’è, per Luca Spada, il Campo dei Fiori?
La mia montagna. Sono nato a Malgesso, e il Campo dei Fiori era lì a farmi da guardiano. Poi mi sono trasferito a Bodio e lui era ancora lì a vigilare. È la montagna che mi ha accompagnato, quella che mi ha aiutato a comprendere e fare mia la passione per la montagna di mio padre. Il teatro delle prime passeggiate, le prime uscite in bici, le prime fughe con le fidanzate da portare al Belvedere per prendere in prestito un po’ di quella bellezza e fare colpo. E poi, il Campo dei Fiori è EOLO: lì, è nata la nostra prima antenna.

Cosa significa vedere il logo di Eolo sulle maglie della squadra?
Non è solo un nome su una maglia, c’è molto di più. Questa squadra è entrata a fare parte della famiglia EOLO a tutti gli effetti: è un pezzo di noi, è un prolungamento della nostra azienda. La squadra sarà protagonista delle nostre attività di comunicazione, parlerà e si racconterà ai nostri dipendenti e ai nostri clienti, diventerà grande in un progetto esteso che prevede anche il marchio Kratos in una condivisione virtuosa tra sport e alimentazione.

Un nome: Ivan Basso…
La persona di cui mia moglie sta diventando gelosa: vedo e sento più Ivan di lei. Io e Ivan siamo molto, molto simili: anch’io, come lui, quando metto la testa in una cosa divento quasi paranoico perché la vivo in maniera totalizzante. Anch’io come lui sono maniaco dei dettagli, della precisione, delle cose fatte per bene. Anch’io, come lui, ho imparato che nella vita come nello sport avere un bel “motore” è importante ma non è sufficiente perché ci vuole la testa. Ivan ha messo in piedi un bel giocattolino, e…

E…?
Io ho delle splendide sensazioni, perché credo che questo progetto sia nato sotto una buona stella e sia figlio di una serie di congiunzioni astrali quasi incredibili. Io ho conosciuto Ivan quasi per caso, e subito dopo alla sua squadra sono saltati due sponsor quindi è venuto da me a propormi questo progetto. Poi fin da subito mi sono trovato in sintonia con Giacomo Pedranzini e Kometa. Attorno a questo progetto si è formata una rete di imprenditori e amici: Valerio De Molli, Paolo Orrigoni, Rinaldo Ballerio…

Cosa si aspetta da questa squadra?
Essere al Giro d’Italia al primo anno di vita è già un risultato incredibile, un punto di partenza splendido. Mi aspetto che questo gruppo cresca e costruisca, giorno dopo giorno, per arrivare a raggiungere risultati stabili e credibili. Non mi interessa il “tutto subito”, chiedo una crescita costante e una squadra che venga sempre più riconosciuta per la sua serietà: i nostri corridori saranno ragazzi seri, educati, capaci di trasmettere i valori giusti  per appassionare i giovani a questo sport. Perché seguano il ciclismo, ma anche perché pratichino il ciclismo. E quando parlo di valori, mi riferisco a tutto: a quelli che i ciclisti faranno propri perché noi saremo stati bravi a trasmettere loro. E il nostro esempio, l’esempio di un’azienda che non cerca scorciatoie, l’esempio di un marchio come Kratos che nei suoi prodotti non mette nulla che non sia assolutamente naturale e sano rifiutando ogni scappatoia “chimica”, farà in modo che tutti i nostri corridori siano dei portatori sani di coerenza e sportività. Sempre.

E poi, anche qualche vittoria…
Certo, poi ci aspettiamo anche le vittorie: ci mancherebbe. Ma io non voglio che da questa squadra salti fuori il nuovo Froome o il nuovo Sagan. Io voglio che da questa squadra emerga sempre la forza del nostro gruppo e la sua capacità di emozionare, di far venire la pelle d’oca. Mi aspetto di sentire i tifosi, dopo aver visto passare il gruppo, dire “Ecco, hai visto che spettacolo quelli della EOLO-KOMETA?”.