LODETTO DI ROVATO (BS) – In un intervista rilasciata su La Gazzetta dello Sport di oggi, Beppe Martinelli ha confessato che il prossimo anno scenderà dall’ammiraglia e lavorerà dietro le quinte. Il noto direttore sportivo bresciano, 9 Grandi Giri vinti guidando campioni del calibro di Pantani, Simoni, Garzelli, Cunego, Nibali e Aru, resterà con l’Astana, ma con mansioni diverse rispetto al passato.

«Alla fine dell’ultimo Tour ho capito che è arrivato il momento mettermi in gioco in un altro ruolo. Resto direttore sportivo, ma di fatto scendo dall’ammiraglia. Potrei ancora fare qualche corsa ma lavorerò sempre dietro le quinte. Logistica. Programmi. Consigli. Mi immagino come un jolly, non farò più quello che ho fatto finora», ha spiegato Martinelli sulla rosea.       

E ancora: «Ho cominciato a pensarci nel 2016. Poi, le critiche ingiuste che noi come squadra abbiamo ricevuto all’ultimo Tour mi hanno fatto male davvero, mi sono rimaste dentro. Mi riferisco alla televisione italiana, sembrava quasi una cosa pilotata per allontanare Aru dal team. Io non sono riuscito a far capire che non potevamo fare niente di più. Ci sono mancati Cataldo, Fulgsang, prima ancora Kangert, e il povero Scarponi…».

Arrivano altre riflessioni: «Mi è venuta voglia di guardare le cose da un’altra prospettiva e la considero una decisione abbastanza definitiva. Forse inconsciamente mi sono sentito meno rappresentato in seno alla squadra, meno solido di prima»

La morte di Scarponi? «Non dico che mi ha ucciso… Ma mi ha tolto un po’ di sangue. Mi ha segnato e non voglio paragonarla a niente altro. Un giorno le farò ascoltare l’ultimo messaggio vocale che mi aveva mandato alle dieci di sera, il giorno prima di morire. Sembra un testamento, sembrava quasi che sapesse che stesse per succedere qualcosa…».

Sull’addio di Aru: «Avevamo un rapporto vero, eppure è stata una scelta totalmente sua. Ma vorrei chiarire che non mi sento né tradito, né deluso. Non lo sento da un mesetto, però non ci sono problemi. Se ci sarà da abbracciarsi, lo faremo tranquillamente. Vinokourov? Non credeva che Fabio potesse andarsene. Lo considera una creatura della Astana, pensava che potesse diventare una bandiera».

Fabio Aru e Vincenzo Nibali, con chi è stato più facile lavorare? «Sono opposti. Fabio ha le sue idee. Ti ascolta, si può limare un po’, ma qualcosa di suo lo vuole sempre mettere. Vincenzo è come lo vedi. Un buono. Fabio è un po’ più testardo. Ho lavorato bene come entrambi. Con Vincenzo è stato un po’ più facile, con Fabio abbiamo tribolato di più».