Abbiamo assaggiato l’estate e poi le temperature sono scese in picchiata, al punto che da lunedì abbiamo dovuto rimettere la divisa invernale, con tanto di guanti. Adesso il mercurio nei termometri ha ripreso a salire. C’è stato un giorno, forse lunedì scorso, Pasquetta, che mi ha colpito. Il cielo era azzurro, limpidissimo, si vedevano gli Appennini e le Alpi dalle Mura; e però era percorso da nuvole grandi e piccole, alcune leggere come batuffoli, altre grandi, alcune bianche candide come angeli, altre scure come navi di pirati.

Quando passavano davanti al sole lo velavano appena oppure, quelle cupe, lo nascondevano e la luce cambiava, sembrava una giornata di tempesta… passava qualche secondo o minuto e tornava un pomeriggio radioso. E in quel pomeriggio ho pedalato; una piccola cosa, da Bergamo a Strozza e ritorno, una trentina di chilometri. Ma i colori erano una festa e quel cambiamento di luce mi faceva venire in mente la vita, che a tratti è luminosa come la primavera, ma in altri momenti diventa faticosa, plumbea, tempestosa. Ma a quel punto l’esistenza è capace di sorprenderti di nuovo, di cambiare ancora.

Sto pedalando bene, ho superato la soglia dei mille e duecento chilometri in poco più di due mesi di allenamento: per me un record. Venerdì ho simulato la Gimondi, percorso corto: da Bergamo alla Tribulina, colle dei Pasta, giù a Trescore, poi Casazza, Colle Gallo, Albino, Selvino. Selvino soltanto fino al chilometro sedici, perché si era fatto tardi e bisognava tornare per il pranzo (e per prepararlo). Una bella giornata, freddissima. A scendere dal Colle Gallo mi scendevano lacrime. Ma si vedevano tutte le nostre montagne, di fronte; vedevo l’Alben con le sue rocce grigie, argentee, la Cornagera, il Secretondo… Prima, dalla pianura, avevo visto bene il Formico e la Presolana, senza neve… Alla fine della sgroppata i tempi sono stati quello che sono stati, ma la stanchezza era accettabile.

Buon segno. Farò una buona Gimondi? Speriamo. Certo, se  dieci anni fa facevo il Selvino in trentasei minuti dopo mille chilometri, oggi per ripetere quel tempo ho bisogno di almeno mille e cinquecento chilometri nelle gambe… Le legge dell’età: i sessant’anni non sono lontani. Quando io ero un ragazzino un uomo di sessant’anni era senza dubbio un vecchio. Oggi non è più così, ma un sessantenne neppure può venire considerato giovane!

Viviamo in una società di vecchi (a Bergamo città ci sono oltre duemila novantenni, i diciottenni si sono dimezzati rispetto a quelli degli Anni Settanta…), che però ha eletto il giovanilismo a mito. Il mito dell’essere giovani per sempre. Come se nella maturità e nella vecchiaia non ci fossero elementi positivi. Non rimpiango i miei vent’anni, per nulla. Mi sento una persona più ricca, a ogni ruga corrisponde una conoscenza, un sentimento, un ricordo. Per ogni pelo bianco della barba una capacità in più di capire le persone. Di comprenderle, a volte di accettarle meglio, a volte di decidere che è meglio lasciar perdere.

Gli anni, a saperli accettare, portano davvero conoscenza, esperienza, saggezza.

Lo diceva anche il Felice Gimondi che la vita ha sempre qualche cosa di bello da regalarci, e lo diceva anche quando aveva ormai finito di correre, alla fine di quel Giro d’Italia del 1978, consapevole che sarebbe stato il suo ultimo Giro, e le lacrime rigavano le sue guance, lontano dai riflettori, mentre da solo si avviava verso l’albergo e la folla applaudiva il  nuovo vincitore, De Muynck che aveva superato Baronchelli e Moser. Finito un capitolo, bisogna avere la forza di scriverne un altro.

Buone pedalate a tutti.

paolo aresi (2)

Paolo Aresi – giornalista e scrittore.
Dal 2015 cura la rubrica “#AMOLABICI, le Cicloctorie di Paolo Aresi” sul sito www.bicitv.it.
Il ciclismo è una sua grande passione, ha trascorso l’infanzia tifando Felice Gimondi.
Pedala con una certa energia, ma il poco tempo a disposizione lo penalizza.