Ma quanti volti hanno attraversato il mondo del ciclismo di casa nostra? Quanti occhi, quante espressioni, quante storie? Quante fatiche. Quanti caratteri. Chi era, per esempio, Giuseppe Medolago, detto il “Pi”? Il Pì nacque al Casalino, un vecchio caseggiato che si trovava in quella che all’inizio del Novecento era la zona industriale di Bergamo, periferica, oltre la cinta delle Muraine. Oggi è una via di bei condomini, e soltanto il nome ricorda l’antico “Casalino”. E chi era Pietro Fasoli? E Zaverio Nava?
Cominciamo da Pietro Fasoli. A diciannove anni, nel 1910, il giovane Pietro si iscrive alla corsa “Al mare, ai monti, ai laghi”, organizzata dal giornale “Il Secolo”. Si svolge in agosto, in otto tappe. Partenza da Alessandria, arrivo a Milano. Casoli è tesserato per lo Sport Club Bergamo. Il ragazzo viene da Vertova, i dirigenti insistono perché partecipi alla corsa, ma il ragazzo non ha la bicicletta. Allora tenta di vendere la mucca del padre, che sventa la minaccia. A questo punto interviene un signore di Fiorano al Serio che gli presta un bel “Bicicletto Otav”.
E il 31 luglio Pietro si presenta al via. Otto giorni, duemila chilometri. Domina Ugo Agostoni – ancora oggi celebrato con la nota Coppa Agostoni, corsa per professionisti. Fasoli arriva secondo. Alla penultima tappa familiari e compaesani scendono a Bergamo dove passa la corsa per festeggiarlo. Grandi feste anche a Vertova, ma il parroco vieta alla banda del paese di partecipare: la corsa era stata organizzata da un giornale anticlericale! I suonatori obbedirono a malincuore e vennero prontamente sostituiti dal corpo musicale di Fiorano al Serio. E si vendicarono: alla prima processione successiva, si rifiutarono di suonare.
Intanto Fasoli continua a mietere successi. Al Giro delle Alpi Orobie di 226 chilometri, Fasoli va in fuga dopo soli dodici chilometri e affronta in solitudine il percorso che da Lecco porta a Sondrio, Aprica, Edolo, Breno, Lovere, Bergamo, Lecco. Arriva al traguardo con un tale vantaggio che diversi atleti sporgono reclamo accusandolo di brogli. Ma la giuria non rileva alcun imbroglio e gli aggiudica la corsa.
Nel 1911, al campionato bergamasco organizzato dallo Sport Club Bergamo, con trentadue corridori in gara, Fasoli ritenta il colpaccio. Partono sotto un temporale violento, Fasoli scatta dopo venti chilometri… arriverà al traguardo, a Bergamo con cinquanta minuti di vantaggio sul secondo! Fasoli è di un altro pianeta. La pioggia e il freddo lo esaltano.
Decide di fare il grande salto: nello stesso anno si iscrive alla Parigi-Tours e si classifica ventesimo. Nel 1912 partecipa al Giro d’Italia, primo dei corridori bergamaschi a tentare l’avventura , lo finirà in maniera dignitosa. Fece altri Giri e partecipa al Tour de France del 1923 e del 1924 insieme a Bottecchia.
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Fasoli si ritirò dal ciclismo nel 1925, aprì un negozio di biciclette a Parigi, poi uno in Italia, in piazzale Loreto, a Milano. Aggiunse un garage per automobili. Quindi una parentesi in Egitto, ad Alessandria, e poi lo ritroviamo nel 1937 a Comenduno di Albino con la famiglia:  inizia a fare il demolitore di macchine.
E tira fuori dal cassetto la sua seconda anima: quella dell’inventore. Fasoli inventò il primo “tachimetro da aereo”, i fari antinebbia, gli ammortizzatori idraulici, la tuta autoriscaldante per motociclisti che funziona con il recupero dei gas di scarico della motocicletta. Ma l’idea fissa di Fasoli è quella di usare l’idrogeno al posto dei carburanti normali. Un’automobile ad acqua. Ancora nel 1950 Fasoli porta avanti la sua idea, persino la Rai gli dedica uno spazio nella neonata televisione. Fasoli morì nel 1967 circondato da figli e nipoti. E i Medolago, i Nava e via dicendo? Ne parleremo.
Buone pedalate.