BERGAMO (BG) – Dopo aver toccato Roma, Bologna, Treviso e tante altre città italiane, sabato 19 gennaio il progetto “Sicuri in bicicletta”, promosso da Fondazione ANIA e dalla Federazione Ciclistica Italiana, ha fatto tappa a Bergamo. Un centinaio i giovani atleti e gli accompagnatori presenti nella Sala Radici del Coni di Bergamo, accorsi per affrontare il principale problema che affligge il ciclismo: la sicurezza stradale.

I numeri, infatti, sono impietosi. I dati della Polizia di Stato parlano di 254 decessi nel 2017 (uno ogni 32 ore) e il 2019 si è aperto nel peggiore dei modi: solo in Lombardia, in tre settimane si sono già registrati 273 sinistri, con 260 feriti e otto persone che hanno perso la vita.

Per affrontare la piaga, che lo scorso anno ha colpito Bergamo con l’incidente della 17enne Agnese Romelli, si sono seduti al tavolo dei relatori: Fabrizio Cazzola e Maurizio Luzzi (presidente e componente del settore giovanile nazionale Fci), Daniele Fiorin (direttore tecnico della nazionali giovanile) e Roberto Sardi (della commissione Direttori di corsa e Sicurezza Fci); con loro Sandro Vedovi (di Fondazione Ania), il vice questore di Bergamo Mirella Pontiggia e Alessandro Zadra della Polizia di Stato.

Dopo i saluti dei ‘padroni di casa’ Claudio Mologni (presidente del Comitato Provinciale di Bergamo), Cordiano Dagnoni (presidente Fci Lombardia) e Michele Gamba (vice presidente Federazione Ciclistica Italiana), si è entrati nel merito del problema, a partire dalla dotazione di sicurezza.

«Se per gli atleti il casco è ormai una consuetudine, il codice della strada prevede anche luci anteriori e posteriori, fasce catarifrangenti e campanello», ha ricordato Sandro Vedovi di Ania, sottolineando come gli accessori siano fondamentali per essere coperti dall’assicurazione in caso di incidente.

«E ribadiamo che l’uso dello smartphone è proibito sia agli automobilisti che ai ciclisti», ha ammonito il vice questore di Bergamo Mirella Pontiggia. «Il 95% degli incidenti stradali è causato dalla distrazione: se vogliamo centrare gli obiettivi europei e il dimezzamento delle morti su strada entro il 2020, l’avversario da battere è la disattenzione».

Un’altra parola d’ordine di “Sicuri in bicicletta” è stata consapevolezza.

«Sono molti i fattori che incidono sui livelli di rischio», ha sottolineato Maurizio Luzzi. «Dal tipo di allenamento al percorso, passando per le condizioni del meteo e l’abbigliamento: oltre a controllare il mezzo meccanico, è necessario scegliere bene dove andare».

E, in questo caso, decisivi sono i direttori sportivi e gli allenatori che scortano i ragazzi in strada, come Daniele Fiorin, Direttore Tecnico della nazionale giovanile.

«Preoccupatevi di usare vetture basse, che garantiscono visibilità alle auto che seguono; inoltre acquistare una radio portatile dando ai ragazzi le cuffie permette di essere in contatto con tutti gli elementi della fila, informandoli di auto in sorpasso, insidie o del fatto che un atleta si è staccato».

Ma, il consiglio principale, è quello di allenarsi su strada solo per allenamenti ad andatura regolare.

«Volate, ripetute e ventagli sono esercizi fondamentali, ma non possono essere svolti in strada», ha ricordato Alessandro Zadra, della Polizia di Stato. «Per svolgere questo tipo di allenamenti individuate una pista ciclabile, una pista di atletica o un ciclodromo, andando su strada solo per sedute ad andatura regolare».

Se in allenamento i rischi sono noti, non bisogna sottovalutare le insidie che i ragazzi incontrano durante le gare; soprattutto quei ragazzi che, avendo corso finora in circuiti chiusi, debuttano su percorsi trafficati.

«Auto al seguito, moto staffette, moto scorte, giudici e medici sono decisivi per assicurare la sicurezza», ha spiegato Roberto Sardi, componente della commissione Direttori di corsa. «Ma gli atleti devono sapere che le figure di riferimento sono i direttori di corsa e i propri ds: il rapporto queste due figure è fondamentale e deve essere migliorato, a partire dalle riunioni che si svolgono prima delle competizioni».

(Servizio a cura di Roberto Amaglio)

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