Gli arabi hanno scoperto il ciclismo e nel nostro sport portano i dollari del loro petrolio, ma anche una ventata di entusiasmo. Adesso si sta correndo il Giro degli Emirati, con Fabio Aru che è tornato in pista dopo che Nibali si è fatto vedere al Giro dell’Oman. Siamo sempre da quelle parti, giù, nel deserto, in un mondo che conosciamo così poco. Mondo islamico e arabo, maschilista, per certi versi avanzatissimo e per altri vicino al medioevo. Almeno in apparenza.

Trent’anni fa, parlare di “Tour dell’Oman” sarebbe stata una barzelletta. Ma è bello quello che sta succedendo, splendido vedere che il ciclismo apre i suoi orizzonti e va a scalare la montagna dell’Oman che è il loro Mortirolo, dove Nibali prende un minuto e mezzo dal vincitore e si arrabbia. Ma il Giro è ancora lontano e il Tour lo è ancora di più… e i grandi obiettivi della stagione sono questi. Anche se manca poco a un’altra corsa gloriosa, la Tirreno-Adriatico che, a sua volta, apre le porte alla Milano-Sanremo.

Ma l’arrivo in forze degli arabi (che hanno affidato a Beppe Saronni la loro UAE-Emirates, per la quale corre Fabio Aru, in cerca di rivincite dopo un 2017 non brillante) oltre a dollari ed entusiasmo, porterà anche un senso etico più profondo? Speriamo. Dopo il trauma della vicenda toscana, della squadra di giovani che faceva sistematicamente uso del doping, le parole di Brad Wiggins, vincitore del Tour 2012, non danno sicurezza.

Wiggins ha parlato a dei ragazzi della sua squadra di dilettanti inglesi, nel cuore di Londra. E li ha messi in guardia, ha dato a loro un consiglio: ha detto loro di non andare a Sky, qualora potessero diventare professionisti, di scegliere altre squadre. Ha parlato come se nel mondo del ciclismo ci fossero due anime, una sinceramente pulita, eticamente a posto, e un’altra invece nera, che per vincere accetta compromessi e soluzioni illecite. Wiggins ha fatto parte del team Sky e proprio con loro ha vinto il Tour 2012.

Ora si è dato al canottaggio e punta ai Giochi Olimpici del 2020. Ha detto il campione inglese: “Noi vogliamo essere una squadra che si relazioni con il pubblico, non ci vogliamo nascondere in un grosso bus nero davanti a degli schermi… Non mi disamorerò mai del ciclismo, ma questo sport oggi è molto diverso rispetto a quello che mi aveva fatto innamorare. Si discute tutto il tempo di potenza e di body attillati, ma io vorrei tornare indietro ai tempi in cui Bernard Hinault si cambiava nel retro di una macchina”.

Già. Nostalgia per un ciclismo che appassionava, affascinava, entusiasmava con la sua semplicità. Hinault. Gimondi. Merckx. Anquetil. Non è una contraddizione affermare che il ciclismo per andare avanti ha bisogno di tornare indietro. In questo, Wiggins ha ragione. Sarà possibile?

Intanto godiamoci queste battaglie nel deserto, godiamoci i ventagli contro il vento che soffia dal Mar Rosso piuttosto che dalla Cappadocia, seguiamo Fabio Aru con la sua squadra, con Elia Viviani che piazza i suoi sprint vincenti.

Adesso arriva sull’Italia il grande freddo. Appena passa ricominciamo tutti a pedalare. Anch’io.

Paolo Aresi

Paolo Aresi

Paolo Aresi – giornalista e scrittore.
Dal 2015 cura la rubrica “#AMOLABICI, le Cicloctorie di Paolo Aresi” sul sito www.bicitv.it.
Il ciclismo è una sua grande passione, ha trascorso l’infanzia tifando Felice Gimondi.
Pedala con una certa energia, ma il poco tempo a disposizione lo penalizza.