VERONA (VR) – Una faticaccia ben ripagata: una vittoria, la prima tra i professionisti, un 2° e un 3° posto. Alessandro Fedeli torna “molto soddisfatto dal Tour of Ruanda” anche se “è stata proprio una faticaccia, con 18 mila metri di dislivello superati in otto giorni”.

“Il percorso – riferisce al rientro – era proprio duro, duro, con tante salite, ma la corsa è molto ben organizzata, con alberghi sempre vicino agli arrivi” (foto Photobicicailotto).

Prima tappa, prima vittoria: quale il primo pensiero?

“Che non avevo vinto, che ero arrivato 2°. Davvero, pensavo così, ma subito ho visto un mio dirigente alzare il pollice ed ho provato una grande gioia, anche perché giunta inaspettata. C’è stata selezione, sono rimasto davanti e, siccome sono… velocino, i compagni di squadra mi hanno dato una mano. Dopo uno strappo, c’erano 300 metri di pianura prima dell’arrivo: sono partito ai 200. Il 2°, quello che credevo 3° mi è arrivato a ruota”.

Il contrario è accaduto alla penultima tappa.

“Avevo alzato le mani, convinto di aver vinto, invece uno era già arrivato. Pazienza, è stato, comunque, un buon risultato”.

Così come il 3° nella tappa conclusiva.

“Poteva essere, anche quello un 2° posto. Il primo aveva vinto per distacco ed io, a 20 metri dal traguardo, ho smesso di pedalare, guardavo il pubblico, ed ho fatto terzo”.

Impressioni?

“Sono stato reattivo nei finali di tappa. Poi, si sa, vincere significa tutto, essere secondo niente, anche se, dal punto di vista tecnico, cambia poco”.

Come è stato correre in Africa?

“Intanto, la temperatura era mite. In Ruanda c’è tanto verde e il percorso mi ha ricordato quello affrontato l’anno scorso in Colombia. Impressionante, piuttosto, è la presenza del pubblico, mai vista così tanta gente, nemmeno in una tappa del Tour”.

Il Ruanda avanzerà la sua cadidatura ad ospitare i campionati del mondo del 2025.

“Il percorse sarebbe veramente spettacolare, con tanta gente sulle strade”.

Le prestazioni in Ruanda hanno comportato un cambio nei suoi programmi?

“Sì, perché la mia squadra, la Delko Marseille, ha deciso di mandarmi alla Parigi-Nizza”.

Un bel salto di livello.

“Un corsone, una gara World Tour, da domenica al 17 marzo, con tanti big che lavoreranno per preparare al meglio la Sanremo. Subito, ho detto che non avrei voluto farla, ma la squadra crede in me, ha insistito e colgo l’occasione. Ho avvertito fiducia nei miei confronti e questo è importante. Sarà una bella tirata di collo, ma vado senza pressioni, per fare quello che mi riuscirà”.

Quali potrebbero essere gli obiettivi?

“La richiesta è provare a fare bene una tappa. In altre, sulle salite, potrò staccarmi subito, insomma non dovrò forzare, sperando di azzeccare la fuga buona in una tappa più adatta a me”.

Ci sarà anche Mauro Finetto.

“Sì e anche lui cercherà gloria nelle tappe, senza guardare alla classifica. Lui, magari, potrebbe anche curarla, ma penserà ai traguardi parziali”.

Troverà un chilometraggio ben più lungo.

“Saranno tutte tappe intorno ai 200 chilometri, ma quello non mi preoccupa tanto. Se temo qualcosa, sono le condizioni meteo. Spesso, alla Parigi-Nizza, il tempo non è clemente”.

Un anno fa, in effetti, lo stesso Viviani è rientrato tre giorni prima della fine per evitare malanni.

“Appunto”.

Ha dato un’occhiata al percorso?

“No e non lo guarderò per non… spaventarmi”.

La tappa ideale per lei?

“Una su percorso mosso. Se è duro, duro, non ce la faccio, non sono ancora pronto, ma su tracciati mossi e nervosi, posso fare bene”.

L’arrivo ideale?

“In gruppetto ristretto, allora posso far valere lo spunto veloce”.

E dopo la Parigi-Nizza?

“Spero di uscire con una buona gamba per aspirare a qualcosa di buono alla Settimana internazionale Coppi&Bartali, dal 27 al 31 marzo. Già l’anno scorso, con la Trevigiani, ho fatto un 7° posto di giornata. Chissà non mi riesca un buon risultato”.

(Servizio a cura di Renzo Puliero)