ROMA (RM) – L’Inail va in aiuto anche al mondo dello sport professionistico sul tema della responsabilità in caso di contagio di un dipendente. “In riferimento al dibattito in corso sui profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro per le infezioni da Covid-19 dei lavoratori per motivi professionali, è utile precisare che dal riconoscimento come infortunio sul lavoro non discende automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro”, ha scritto l’Inail in una nota.

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Il datore di lavoro, spiega l’istituto, risponde penalmente e civilmente delle infezioni di origine professionale solo se viene accertata la propria responsabilità per dolo o per colpa.

Si seguito riportiamo il resto della nota.

Sono diversi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail per la tutela relativa agli infortuni sul lavoro e quelli per il riconoscimento della responsabilità civile e penale del datore di lavoro che non abbia rispettato le norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Queste responsabilità devono essere rigorosamente accertate, attraverso la prova del dolo o della colpa del datore di lavoro, con criteri totalmente diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative Inail.

Pertanto, il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Istituto non assume alcun rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza in tale ambito del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del pubblico ministero. E neanche in sede civile il riconoscimento della tutela infortunistica rileva ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo per aver causato l’evento dannoso.

Al riguardo, si deve ritenere che la molteplicità delle modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro, oggetto di continuo aggiornamento da parte delle autorità in relazione all’andamento epidemiologico, rendano peraltro estremamente difficile la configurabilità della responsabilità civile e penale dei datori di lavoro.

L’Inail, quindi, alleggerisce la posizione degli staff sanitari delle società sportive professionistiche, ma rimane il problema dei tamponi: è difficile farne tanti in pochi giorni. Se ci basiamo sulla via su cui sembra indirizzato il mondo del calcio, il protocollo oggi prevede tamponi
e test sierologici 72-96 ore prima dell’inizio degli allenamenti collettivi, altro tampone dopo 24 ore e ancora tamponi e test dopo 7-8 giorni dal via degli allenamenti. E per i club non è certo facile reperire un numero così elevato di tamponi. Per i medici resta una questione da chiarire. I tamponi, che sono a carico dei club, non devono impattare sulla disponibilità dei reagenti «in relazione ai bisogni sanitari del Paese», come dice il protocollo. Ma la ripetizione così ravvicinata nel tempo, in questa fase della pandemia, può essere un problema. Soprattutto in certe zone dell’Italia, dove la reperibilità dei reagenti per i test rimane difficoltosa.